(Il Foglio Salute – Venerdì 4 dicembre 2020)
Idee per cambiare e migliorare i reparti di odontoiatria negli ospedali pubblici
LOMBARDIA, BASTA SOCIETÀ ESTERNE. SI TORNI ALLA GESTIONE DIRETTA NELLE STRUTTURE
Certamente chi legge si chiederà perché si è scelto di parlare di odontoiatria pubblica proprio in un momento storico così complicato dal punto di vista sanitario, mentre le priorità legate alla pandemia sono evidentemente di ben altro tipo. La prima risposta è che proprio l’emergenza epidemica ha mostrato in modo inequivocabile come nei pochissimi ospedali lombardi dove l’odontoiatria è ancora gestita direttamente, i locali dedicati a tale attività siano obsoleti e poco sicuri per il personale e il paziente. Il numero di riuniti isolati totalmente dal resto dell’ambiente con un proprio ricircolo di aria è estremamente ridotto: per ottimizzare lo spazio si è scelto, tempo addietro, di ricorrere a stanze enormi, in cui possono trovarsi anche 10 o 12 poltrone odontoiatriche, separate da divisori incompleti. E’ quindi intuibile che tale situazione logistica sia sfavorevole e poco pratica poiché in odontoiatria la maggior parte delle prestazioni provoca la formazione di droplets e di aerosol in conseguenza dell’utilizzo di trapani o turbine con raffreddamento ad acqua, e sappiamo come tale microambiente possa favorire la diffusione del virus nello spazio e la sua permanenza prolungata anche sugli arredi. La pandemia ha quindi finalmente mostrato l’assoluta necessità di creare ambienti odontoiatrici moderni con riuniti chiusi e isolati non solo per motivi di privacy ma anche di reale sicurezza; per fare un paragone con la medicina, il Covid-19 dovrà costringere i nostri ospedali a passare da una odontoiatria di corsia a una odontoiatria con stanze doppie e singole. Ha ancora senso parlare oggi di odontoiatria pubblica? Se sì, siamo in grado di creare un modello economicamente sostenibile? Ci saremmo posti la stessa domanda se invece di odontoiatria stessimo parlando di otorinolaringoiatria, ortopedia o qualunque altra branca medica specialistica? Evidentemente no e la ragione risiede nel fatto che l’odontoiatria è considerata ormai da tutti (istituzioni, cittadino, medici e persino molti odontoiatri) altro rispetto alla medicina. Nel nostro paese, a partire dal 1980, l’iter formativo dell’odontoiatra è diverso da quello del medico, in quanto da quella data è stato attivato uno specifico corso di laurea che, dopo l’esame di stato, abilita all’esercizio della professione previa iscrizione all’albo degli odontoiatri. Prima del 1980 la professione era esercitata dal laureato in Medicina in assenza di specializzazione o il più delle volte dopo il conseguimento di una specializzazione della durata di altri 3 anni post laurea. L’avvento del corso di laurea in Odontoiatria, peraltro con numero chiuso sin dalla sua istituzione, ha certamente creato una classe di giovani odontoiatri molto preparati dal punto di vista tecnico e altrettanto innegabilmente ha portato a un innalzamento della qualità della prestazione odontoiatrica media nei suoi diversi ambiti, dalla protesi alla conservativa fino all’ortodonzia e alla chirurgia. Parallelamente ha modificato nell’immaginario collettivo la percezione della figura dell’odontoiatria che da allora è stato visto come altro rispetto al medico. Anche la pubblicità ha fatto la sua parte: dietro certi messaggi vi è la convinzione che la prestazione odontoiatrica non sia un atto medico ma solo un gesto tecnico in cui non valga quello che in medicina è regola fondante, vale a dire somministrare una terapia solo dopo una corretta diagnosi. In odontoiatria la visita sembra essere propedeutica alla preparazione di un preventivo, un atto svuotato di significato scientifico e medico, con l’attenzione rivolta alla velocità di cura e rilevanza puramente estetica del trattamento; poca attenzione alla qualità dei materiali o alla preparazione professionale necessaria per eseguire una certa prestazione. La bocca è parte integrante del nostro organismo e risponde alle medesime leggi biologiche. Infatti in bocca, molto più spesso di quanto non si ritenga, si manifestano lesioni a carico di altre strutture rispetto ai denti quali le mucose di rivestimento che possono essere colpite da malattie neoplastiche o infiammatorie croniche del tutto sovrapponibili a quelle di tutte le prime vie aereo-digestive. Il cancro del cavo orale rappresenta la settima causa di malattia neoplastica nella donna e la quinta nell’uomo e ha gli stessi fattori di rischio degli altri tumori delle prime vie digestive. La capacità dell’odontoiatra di intercettare lesioni potenzialmente maligne e di diagnosticare tumori nelle prime fasi di sviluppo è imprescindibile nella lotta a questa malattia. Come se ciò non bastasse a sottolineare l’appartenenza a tutti gli effetti dell’odontostomatologia alle discipline mediche ricordo che numerose patologie prettamente mediche quali infezioni cardiache partono da focolai di infezioni orali o ancora come malattie onco-ematologiche, quali linfomi e leucemie, hanno non raramente la prima manifestazione clinica a livello orale. I danni legati a una mancata diagnosi o a un trattamento odontoiatrico incongruo non sono solo estetici, non rappresentano solo la perdita o la mancata realizzazione di un bel sorriso ma possono essere anche fonte di gravi problematiche sistemiche. Sottolineo come molte persone affette da patologie generali acute e croniche fatichino a trovare assistenza odontoiatrica qualificata e disponibile alla loro presa in cura. Mi riferisco, ad esempio, alle persone colpite da demenza, i cosiddetti “invisibili” o “fantasmi” per rimarcare un grave vuoto assistenziale, a tutte quelle in terapia anticoagulante ed antiaggregante per malattie del sistema cardiocircolatorio, a chi viene sottoposto a trapianto d’organo, ai pazienti oncologici e la lista è ancora più lunga… In molti casi il problema non è economico: un’ampia aneddotica evidenzia come nemmeno a pagamento queste persone e i loro familiari trovino assistenza odontoiatrica. Per tutti questi motivi sarebbe importante avere un servizio di odontostomatologia all’interno dei grandi ospedali lombardi gestito in maniera diretta e non da una struttura privata come i cosiddetti “services”. Appare davvero sorprendente come nella maggior parte degli ospedali lombardi il servizio di odontoiatria non sia gestito, come quello di ogni altro reparto specialistico, da medici strutturati ospedalieri. La scelta lombarda – completamente fallimentare – è stata spesso quella di demandare questa attività in outsourcing, cioè a società esterne. Il controllo dell’attività di queste società è, come dimostrato da avvenimenti giudiziari degli ultimi anni e degli ultimi giorni, inesistente, soprattutto dal punto di vista della qualità e della volontà nella presa in cura delle fragilità cliniche.
Antonella Sparaco, Direttore U.O.C. Odontoiatria ASST Fatebenefratelli-Sacco, Milano Aldo Bruno Giannì Professore ordinario di Chirurgia MaxilloFacciale, Università degli Studi di Milano e Direttore U.O.C. di Chirurgia MaxilloFacciale e Odontostomatologia, Fondazione Ca’ Granda IRCCS Policlinico di Milano
(Il Foglio Salute – Venerdì 11 dicembre 2020)
Proposte per una odontoiatria pubblica che funzioni davvero
Creare reparti in ogni grande ospedale con piccoli hub periferici. La Dental School dell’Università Statale di Milano
Perché negli ospedali lombardi si è scelto di demandare l’attività odontoiatrica in oursourcing? Le motivazioni sono diverse e complesse ma tra le principali ci sono i costi economici sicuramente importanti che un reparto di odontoiatria deve coprire. La qualità del risultato non è infatti solo frutto di un’accurata diagnosi e di un accurato piano terapeutico ma anche dell’utiliz - zo di una costosa tecnologia (oggi digitale per la stragrande parte) e di una merceologia con materiali di prima qualità a garanzia di un risultato che deve mantenersi nel tempo. La sanità pubblica sembra quindi aver ritenuto tali costi eccessivi e non sostenibili e ha quindi scelto, evidentemente per evitare di farli pagare direttamente a prezzo pieno ai cittadini (scelta questa non sostenibile dal punto di vista sociale e politico) di appaltare nella maggior parte dei casi a società terze, come detto in precedenza, senza effettuare nessun tipo di controllo. La comunicazione all’utente è tutt’al - tro che chiara: il paziente pensa di essere curato da una struttura pubblica, quando invece il SERVICE è una struttura privata che opera all’interno della struttura ospedaliera. Nella realtà però non viene considerato che un modello di odontoiatria pubblica sostenibile potrebbe concretamente essere creato. Partiamo da due semplici dati di fatto, vale a dire la necessità che quasi tutti i soggetti nel corso della vita necessitano di cure odontoiatriche e che la spesa odontoiatrica privata in Italia ammonta a circa 8/9 miliardi di euro negli ultimi 2 anni (fonte ANDI). Lo stato di fronte a questi numeri (di pazienti e di milioni di euro) non può demandare ad altri l’onere delle cure odontoiatriche. Il modello che si potrebbe perseguire è la creazione di moderni reparti di odontostomatologia all’interno di ogni grande ospedale, con dei piccoli hub periferici sul territorio, ciascuno dei quali si riferisce a un ospedale metropolitano in cui eseguire screening e prime visite, in stretta connessione con i medici di medicina generale. Tali reparti se costruiti in modo razionale e moderno con la selezione di personale medico, infermieristico e di supporto (es. ASO) dedicato, sarebbero in grado di competere con l’odontoiatria privata e, soprattutto, sarebbero in grado di intercettare buona parte del budget odontoiatrico attualmente nelle mani dei privati. L’odontoiatria pubblica può infatti essere in grado di fare concorrenza alle srl solo investendo in ambienti idonei, moderni e tecnologicamente avanzati, garantendo nel contempo agli odontoiatri più bravi ed esperti di poter eseguire libera professione, all’interno dell’ospe - dale stesso (intramoenia), a prezzi corretti e con margini anche significativi per l’ospedale. Tale marginalità economica, tutt’altro che trascurabile se rapportata agli 8/9 miliardi prima ricordati, è in grado di creare un circuito virtuoso in cui i proventi ospedalieri della libera professione potrebbero garantire anche a quella fetta meno abbiente di popolazione (oggi stimata all’incirca nel 37 per cento che rinuncia o dilaziona eccessivamente le cure odontoiatriche) e a quei pazienti più fragili dal punto di vista sanitario (bambini, disabili, affetti da patologie croniche sistemiche etc.) di accedere a prestazioni di qualità, economicamente calmierate e addirittura sottocosto per quanto riguarda i materiali, che devono essere sempre di prim’ordi - ne. La realizzazione di tale modello convincerebbe poi i professionisti migliori, che oggi fuggono dall’ospedale e dalle università, a rimanere a lavorare all’in - terno del pubblico con la prospettiva di remunerazioni, forse sempre inferiori rispetto al privato, ma comunque soddisfacenti e adeguate al mercato e soprattutto con la prospettiva di godere di condizioni di lavoro decisamente migliori sia in termini di organizzazione che in termini di crescita culturale grazie anche alla vicinanza di colleghi di altre branche. In ultimo, il terzo pagante sarebbe probabilmente molto interessato o addirittura obbligato a creare sinergia con questo sistema In tal modo anche in odontoiatria lo stato garantirebbe la tutela della salute a tutti i cittadini, a prezzi bassi o comunque molto calmierati a chi è fragile economicamente e a prezzi rispondenti alle logiche del mercato per chi, viceversa, può permetterselo. Non è altro che il principio della socialdemocrazia in cui ogni cittadino paga le tasse proporzionalmente al suo reddito per finanziare progetti di utilità sociale che si ripercuotono però su tutta la popolazione e, mutatis mutandis, la libera professione intramuraria consentirebbe a tutti di accedere a prestazioni pubbliche odontostomatologiche di qualità. L’attuazione di questo progetto è però estremamente difficile in Italia, a causa della eccessiva burocratizzazione e dei fardelli legislativi connessi alle attività proprie della pubblica amministrazione, e per questo rischia di rimanere una pura chimera. La Lombardia, che spesso anche in ambito sanitario è stata in grado di aprire la strada a soluzioni innovative, dovrebbe avere la forza ed il coraggio di guidare e portare avanti questa idea nell’ambito di una sperimentazione pubblico-privato, in modo da dimostrare all’opinione pubblica che la stagione del malaffare odontoiatrico connesso alla politica è definitivamente superato e sostituito da un progetto di vera odontoiatria pubblica o meglio al servizio del pubblico. I pilastri su cui tale progetto si dovrebbe basare sono professionisti di elevato standard (odontoiatri, infermieri, ASO e amministrativi), tecnologia all’avanguardia, e ristrutturazione logistica. Sulla scorta tutto quanto precedentemente affermato, l’università degli studi di Milano ha in animo, come riportato all’interno del piano strategico triennale di ateneo, di creare una Dental School all’interno di uno dei grandi ospedali metropolitani milanesi. La Dental School si propone in pratica la realizzazione del progetto sopra esposto e cioè la creazione di un unico grande ambiente, moderno e tecnologicamente avanzato, di circa 8.000-10.000 metri quadri in cui tutta l’odontoiatria milanese universitaria potrà svolgere la sua opera assistenziale e formativa per gli studenti pre e post laurea. I docenti insegnano sul campo la professione di odontostomatologo in un ambiente in cui si fa anche ricerca di base e ricerca traslazionale al fine di creare una diversa figura di odontostomatologo, aperto al terzo millennio.
Antonella Sparaco, Direttore U.O.C. Odontoiatria ASST Fatebenefratelli-Sacco, Milano Aldo Bruno Giannì, Professore ordinario di Chirurgia Maxillo-Facciale, Università degli Studi di Milano, Direttore U.O.C. di Chirurgia Maxillo-Facciale e Odontostomatologia Fondazione Ca’ Granda IRCCS Policlinico, Milano